La Majella e il Gran Sasso sono le principali catene montuose abruzzesi, separate dalla Val Pescara, dominano il paesaggio con la loro bellezza e maestosità.

La Majella è donna e sacra, montagna madre storicamente abitata da civiltà molto antiche, adagiata e selvaggia, impervia ma generosa; Il Gran Sasso è la montagna d’Abruzzo per eccellenza, con la vetta più alta dell’Appennino, il Corno Grande (2.912 mt), imponente, maschio e virile.

La suggestione di genere sembra essere giustificata dalle fattezze umane dei comprensori e dai tanti miti e leggende che da sempre affascinano gli abruzzesi e gli amanti dell’Abruzzo.

 

LA LEGGENDA

La narrazione sulla montagna madre e sul gigante che dorme è molto commovente e legata alla mitologia che racconta della dea Maja, la più grande e la più bella delle sette sorelle Pleiadi. Le sue stupende trecce bionde, l’armonia dei tratti e le forme della ninfa di certo non passarono inosservate al dio Zeus, figuriamoci. Dio di folgori e saette, incorreggibile fecondatore divino, il nostro senza troppi sentimentalismi fu preso da un improvviso raptus carnale e, appagando il suo desiderio divino, prese la bella Maja in una grotta del monte Cillene in Arcadia. Non ci è dato sapere se la giovane e bella dea abbia poi comunque giovato di un gran momento di piacere, tant’è che da questo fulmineo istante di amore nacque Hermes, il Gigante appunto. Tale enormità, non foss’altro che per celebrare la reputazione di assiduo operatore di convegni amorosi del padre, i cui enormi poteri di tramutarsi in qualsiasi cosa volesse, consentiva allo stesso di consumare rapporti amorosi anche sotto forma di animale (toro, aquila, ecc.).

La bella Maja, racconta la leggenda, dovette in seguito fuggire dalla Frigia per proteggere suo figlio Hermes, il quale feritosi in battaglia, poteva essere salvato solo con un’erba medica che, pensa te, cresceva all’ombra di un Grande Sasso in Italia, in una regione chiamata Abruzzo.

Maja ed Hermes si imbarcano così su di una zattera e attraversano il Mediterraneo fino ad approdare sulle sponde dell’Adriatico, nell’antica città di Ortona. Da qui, tenendo in braccio il gigante ferito, la dea Maja dovette inoltrarsi nell’entroterra abruzzese e scalare il Gran Sasso. Sulla montagna però, trovò troppa neve e le ricerche dell’erba miracolosa furono vane a tal punto che il giovane Hermes incontrò la morte spirando tra le braccia della madre disperata che proprio sul Gran Sasso gli diede sepoltura.

 

La vetta orientale del Corno Grande vista da levante verso ponente riproduce il volto umano di Hermes assopito in un sonno eterno, spettacolo naturale che va sotto il nome di Gigante che dorme. Qui nello scatto di Ugo Di Giammarco.

 

 

Come in un incantevole miracolo della natura quasi a volerne fare dono ai protagonisti di questa leggenda, il ‘gigante di pietra’ osservato da un’angolazione diversa, da sud, si trasforma in una bella e formosa fanciulla dalla lunga chioma distesa sul crinale della montagna: La bella addormentata d’Abruzzo.

 

 

Ci piace pensare che nello scenario grandioso dell’Appennino abruzzese abbiano potuto trovare posto sia la bella Maja che il suo amato figlio, entrati in una simbiosi perfetta dove leggenda e natura si uniscono in un magico e suggestivo gioco che ne suggella l’amore materno.

 

Tornando alla leggenda, dopo la morte del figlio Hermes, la bella dea Maja non ebbe più pace, disperata trovò la morte e venne portata in corteo sulla maestosa montagna di fronte al Gran Sasso che in suo onore prese il nome di Majella.

La cima più alta della Majella, il Monte Amaro (2793 mt) ne simboleggia nel nome il grande dolore e le lacrime versate divennero inoltre rugiada e nutrimento per gli incantevoli pascoli di queste montagne.

Lo sconforto e il lamento doloroso della splendida Maja possono essere ascoltati struggenti e suggestivi, tra gli scrosci delle cascate e il soffiare del vento, in alcuni punti di questi monti come ad esempio il Vallone di Femmina morta.

 

In questo straordinario scatto, Maicol Lanterni ha immortalato in tempi recenti il soffio della bella addormentata che da l’idea di una rassegnata disperazione.

 

 

IL RISVEGLIO

Dopo alcuni secoli di profondo sonno, abbiamo il documento originale del risveglio della bella addormentata.

Ci sono testimonianze dirette però, che le sue prime parole dopo il risveglio non siano state quelle che ascolterete nel video ideato da Luigi D’Agostino, con le musiche di Enrico Melozzi e la voce di Ilaria Cappelluti, bensì un più chiaro ed esplicito “freèchete”, esclamazione tipica dialettale abruzzese che esprime sorpresa e stupore.  Non ci è dato sapere se la bella dormiente abbia avuto questa esclamazione a ricordo del vecchio incontro con Zeus o piuttosto perché colpita dalla straordinaria bellezza dell’Abruzzo.

Vi proponiamo un soggiorno in terra d’Abruzzo per verificare la veridicità del video, potrete osservare dal mare il tramonto sulla bella addormentata o andare alla ricerca in montagna dei segni del dolore di Maja.